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Francia e Costa d’Avorio: una visione geopolitica dei rapporti con l’ex colonia

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Alla luce del recente conflitto civile in Costa d’Avorio, risulta interessante analizzare quali sono i rapporti storici ed attuali che intercorrono tra Parigi e la sua ex colonia africana. Tale rapporto è altresì utile non solo a comprendere meglio le attuali visioni geopolitiche di Parigi, impegnata attualmente in una ridefinizione delle proprie alleanze internazionali, ma anche ad avere una visione più chiara dello scenario regionale africano e, conseguentemente, anche di quello mondiale. Se ne evince un quadro in cui le potenze mondiali, Francia in primis, tende a mantenere il più possibile la propria presenza nel Continente in questione per salvaguardare in primo luogo i profitti delle proprie multinazionali attive nelle ex colonie.

I rapporti storici tra Francia e Costa d’Avorio

Nel 1960, quando la Costa d’Avorio proclamò la sua indipendenza, la Francia siglò con essa degli accordi bilaterali con il primo Presidente ivoriano Félix Houphauét-Boigny, impegnandosi a garantire l’incolumità dei Presidenti del suo ex territorio e mantenendo nel Paese i suoi militari. Proprio le linee guida della politica del Presidente Boigny furono quelle di un’alleanza stabile con l’Eliseo e con le potenze occidentali.

Nei decenni successivi,  la Francia mantenne la sua presenza sul territorio attraverso le numerose multinazionali a causa dei forti interessi di tipo economico. I tecnici francesi contribuirono alla crescita del Paese. Nel 1993 iniziarono dei contrasti tra Francia e Costa d’Avorio, allorquando il Presidente Bédié rivalutò il concetto di “ivorité”, cioè della prevalenza dei diritti degli ivoriani nati in Costa d’Avorio su quelli dei cittadini stranieri, soprattutto francesi. Tuttavia, quando Bédié fu estromesso con un Colpo di Stato, trovò esilio proprio in Francia.

Progressivamente lo scontento popolare portò nel 1999 ad un Colpo di Stato e all’abbattimento del governo ivoriano, dando inizio ad una instabilità sociale e politica decennale.

Infatti nel 2000, in seguito ad una rivolta che provocò numerosi morti, fu destituito il generale Guéi e venne eletto Presidente Laurent Gbagbo. Con la sua elezione venne sconfitto Alassane Ouattara, di etnia del Nord, del Burkina Faso (pertanto non ritenuto cittadino ivoriano) e che era sostenuto da Parigi. Ciò diede vita a forti proteste da parte dei sostenitori del Nord, causando tumulti nella capitale Yamoussoukro.

Il culmine delle tensioni tra nord e sud del Paese, giunse nel settembre 2002 con il conseguente scoppio della guerra civile, quando un gruppo di ribelli, con a capo Guillaume Soro, prese il controllo del Paese e le truppe di Ouattara entrarono ad Abidjan. I ribelli, dopo aver minacciato ulteriori attacchi, diedero a Parigi il pretesto per l’intervento, mediante schieramento di truppe per sbarrare l’avanzata ribelle: tale azione fu giustificata dalla Francia in nome della difesa dei propri cittadini da un grande pericolo. Questo intervento, tuttavia, fu visto come un aiuto alle forze di governo e, di conseguenza, venne considerato uno schieramento con l’opposizione. L’ingerenza francese e della Comunità Internazionale fu motivata dalla considerazione che la politica di Gbagbo stesse trascinando l’intero Paese nell’isolamento economico e diplomatico internazionale, oltre che nel disordine interno. E’ chiaro che una situazione di caos in un Paese strategico economicamente per la regione occidentale africana e per larga parte dei commerci internazionali non conveniva alla Comunità Internazionale.

Ouattara chiese rifugio presso l’ambasciata francese e la sua casa venne bruciata, così come quelle dei ribelli. Nonostante il cessate-il-fuoco, gli attacchi ripresero presto e la Francia schierò truppe per far rispettare l’ordine. Da quel momento, la Costa d’Avorio risultò politicamente instabile. Nel marzo 2004, durante una protesta, vennero uccisi numerosissimi oppositori, con conseguente fuga dei non-ivoriani (circa il 23% della popolazione). I peacekeepers delle Nazioni Unite non contribuirono ad un risanamento delle tensioni  e Gbagbo inviò forze aeree contro i ribelli. La conseguenza fu che, durante uno di questi attacchi, nove soldati francesi rimasero uccisi e la Francia rispose distruggendo gran parte dell’aviazione ivoriana, facendo così scoppiare tumulti contro i francesi stessi, ad Abidjan.

Le Nazioni Unite estesero più volte il mandato di Gbagbo, fino al 2006, contro il volere dei ribelli e dell’opposizione, prevedendo un rinforzo del Presidente con un Primo Ministro, Charles Konan Banny. Gbagbo alternò le alleanze a seconda della convenienza, alla luce di un’autonomia politica. In realtà il Paese necessitava di una certa stabilità per programmare investimenti economici. Inoltre, gli vennero contestati i rapporti politici-economici e militari-diplomatici.

Parigi armò i ribelli e intervenne quando questi stavano per essere sconfitti, proponendosi come forza di “mediazione”, autorizzata dall’ONU con la risoluzione 1975. Il Presidente in carica iniziò a sentirsi minacciato dalla Francia, cui attribuiva macchinazioni a suo danno e la responsabilità di aver portato l’ONU, quasi tutti gli Stati del mondo e tutte le organizzazioni sovranazionali, compresa l’Unione Africana, a riconoscere come Presidente il suo rivale Alassane Ouattara, dopo gli esiti contestati dei risultati del ballottaggio del 28 novembre 2010.

Gbagbo non ha mai riconosciuto la vittoria di Ouattara alle presidenziali e non ha mai voluto lasciare le redini del potere. Nei primi quattro mesi del 2011 vi sono stati atti di violenza in tutto il Paese. Secondo i dati forniti dall’Alto Commissariato per i Diritti Umani, le forze di Gbagbo hanno perpetrato una campagna di terrore e sarebbero responsabili di crimini contro l’umanità come stupri ed eccidi. Circa tremila i morti ed un milione di persone in fuga. Il Presidente e la sua famiglia sono stati prelevati e condotti nel quartier generale di Ouattara. Ciò ha compromesso la legittimità della sua carica. Egli si è impadronito del potere con la violenza e grazie all’intervento decisivo francese.

L’attuale Presidente, amico personale di Sarkozy, ex direttore del Fondo Monetario Internazionale, per la Comunità Internazionale è un interlocutore più credibile di Gbagbo. Egli ha ora l’obbligo di riportare la sicurezza e rilanciare l’economia del Paese con numerose sfide, garantendo che la Costa d’Avorio possa diventare uno Stato democratico, evitando qualsiasi forma di nuovo dominio etnico. Si dovrà indagare sulle enormi violazioni dei diritti umani come i massacri perpetrati a Duékoué, nonché sulla legittimità delle elezioni del 2010, compito questo che sarà assegnato alla “Commissione verità e riconciliazione”. In questo senso si sta muovendo anche la Corte Penale Internazionale, che allo stato attuale delle cose sembra che si occuperà di accertare le responsabilità di entrambe le parti. Altro problema è il disarmo dei gruppi armati ivoriani e stranieri che continuano a scontrarsi e a seminare terrore. Dopo gli ultimi mesi traumatici, molti ivoriani si trovano di fronte ad un dilemma: il ritorno rapido alla normalità e la delega al nuovo team politico. Milioni di euro e di dollari stanno arrivando dai donatori occidentali per la ricostruzione e le nuove autorità dovranno dimostrare trasparenza e responsabilità. Infine, si discuterà della ricerca di vie costituzionali per decentralizzare il potere, permettendo che questo non venga concentrato esclusivamente nelle mani dell’esecutivo presidenziale.

In questo contesto, i cittadini francesi non sono liberi di muoversi sul territorio ivoriano; vengono controllati gli aerei diretti in Costa d’Avorio, perché non vi siano cittadini francesi. Tale problema non era stato previsto da Sarkozy e crea un grande ostacolo per la tutela degli interessi economici delle multinazionali francesi.

Gli interessi politici-economici francesi in Costa d’Avorio

La Francia  detiene, per motivi storici, stretti rapporti con i Paesi africani “Françafrique” (termine usato dal primo Presidente ivoriano Boigny, che ambiva a strette collaborazioni con l’Occidente e la Francia in particolare). Ai governi De Gaulle e Pompidou (1958-1974) fu attribuito il progresso economico e industriale del “miracolo ivoriano”. I rapporti sono caratterizzati da interessi economico-commerciali e strategico-militari. Parigi cerca di mantenere ancora una certa influenza sugli Stati, suoi ex colonie, con un rapporto privilegiato. Vi sono ancora 14 delle ex colonie che usano il franco.

L’Eliseo pianifica incontri regolari con i Capi di Stato africani, in cui si discute di un’ampia gamma di progetti di cooperazione. Anche il grande dispiegamento di forze militari in Africa mostra l’attenzione che la Francia mantiene come legame forte, basti osservare, il caso della Costa d’Avorio, per il quale si pone altresì, come valenza nelle scelte diplomatiche. E’ chiaro che ciò deriva dalla forte presenza delle grandi multinazionali francesi che operano soprattutto in campo energetico, nello sfruttamento delle materie prime, nei trasporti e nelle telecomunicazioni.

Negli ultimi anni la Francia ha rinnovato l’attenzione verso il continente Africano. Il presidente Nicolas Sarkozy ha rilanciato nel 2008 l’Unione Per il Mediterraneo (l’UPM), come fase avanzata del processo di Barcellona, che dal 1995 e per quasi un decennio ha operato come Partenariato Euro-Mediterraneo.  L’UPM comprende i Paesi membri dell’Unione Europea, del Nord Africa e i Paesi balcanici bagnati dal Mediterraneo (43 membri in totale) ed ha come obiettivo quello di rendere l’area stabile e in crescita di profitti per gli Stati che ne fanno parte. Tale progetto ha riscontrato notevoli difficoltà e soprattutto la Germania di Angela Merkel vede nell’UPM un potenziale concorrente per l’UE stessa. Sarkozy e l’ex presidente egiziano Mubarak, ora deposto dalle recenti rivolte popolari, ne sono stati Presidenti. Oggi, a causa delle numerose rivolte nel Vicino Oriente, si è messo a repentaglio il successo del progetto. Anche la Libia di Gheddafi era stata invitata ma senza aderirvi, per la visione dell’UPM come possibile indebolitore dell’Unione Africana.

Attualmente Parigi si vede coinvolta in tre guerre contemporaneamente: Costa d’Avorio, Libia ed Afghanistan.

L’intervento francese in Costa d’Avorio e in Libia rappresenterebbe il tentativo dell’Eliseo di riconquistare il terreno perduto nel continente per riaffermare il suo ruolo coloniale su di esso: una sorta di “neo-colonialismo o “colonialismo mascherato”. In effetti, già l’ex Presidente François Mitterrand sosteneva che la Francia non sarebbe mai stata competitiva economicamente e politicamente in Europa senza l’Africa.

La presenza militare francese in Costa d’Avorio risale al settembre 2002, quando, in ottemperanza ad un accordo difensivo del 1961, Parigi ha deciso di disporre nel territorio africano un contingente speciale di 5.330 uomini, a cui si sono aggiunti altri 600 soldati della Legione straniera. Attualmente le operazioni francesi, così come l’”Operazione Liocorno” dei primi giorni di aprile che ha permesso la cattura di Gbagbo, si muovono sotto l’egida delle Nazioni Unite, presenti sul territorio dapprima con la missione MINUCI – che aveva il compito di monitorare l’implementazione degli accordi di pace del 2003 – e dal 2004 con la missione UNOCI.

Nel marzo 2011, quando è scoppiata la seconda guerra civile, a seguito del risultato delle elezioni presidenziali del 2010, il Paese si è diviso in due fazioni: da una parte i sostenitori del presidente uscente, dall’altra le Forze Nuove di Ouattara, sostenuto dalla Francia. Per sedare il conflitto e gli scontri tra i civili, i militari francesi sono intervenuti direttamente permettendo l’arresto di Gbagbo, proprio mentre altre forze francesi erano impegnate in Libia nella controversa missione NATO. La diplomazia francese in Africa continua ad essere presa nella confusione di interessi personali.

Ma al di là delle scelte per l’uno o per l’altro Presidente, occorre notare che c’è un’altra battaglia “a distanza” che sta avendo luogo tra Cina ed Occidente in territorio ivoriano e nell’intero continente africano. Vi è una conflittualità di interessi economici, legati soprattutto allo sfruttamento delle risorse naturali e di quelle petrolifere: basti pensare, ad esempio, ai giacimenti di cui il Golfo di Guinea si è scoperto esser ricco (e in ragione dei quali le Nazioni Unite hanno supposto che le forze di Gbagbo possano aver ricevuto armi in violazione dell’embargo posto nel 2004), o, ancora, agli investimenti cinesi nelle raffinerie che operano nel nord del Sudan. Questa penetrazione economica, che la Cina utilizza per incrementare il proprio benessere economico al di fuori dell’Asia, è stata anche utilizzata per spiegare numerosi contrasti etnici ed economici nell’Africa sub-sahariana, a cominciare, per esempio, proprio da quello tra i Nord e il Sud Sudan.

È nell’ambito di questa visione geopolitica della Francia, e perfettamente in linea con il proprio “Libro Bianco sulla Difesa e la Sicurezza Nazionale”, dunque, che si possono spiegare le nuove relazioni diplomatiche di Parigi e, in primo luogo, i nuovi accordi militari che questa ha stretto con altre potenze occidentali, ad iniziare dalla Gran Bretagna. Il presidente Sarkozy e il Premier inglese David Cameron hanno stretto un’intesa che consente alle rispettive forze armate di condividere uomini e mezzi, per massimizzare le capacità ed ottenere maggiori ritorni nel settore della Difesa. Tale accordo può avere due letture: una è il rafforzamento dell’intesa bilaterale, l’altro è un nuovo slancio verso la costituzione di un vero e proprio esercito europeo che possa essere operativo anche su altri scenari regionali. Questa nuova intesa è arrivata in un momento di forte crisi economica ed entrambi i paesi hanno tagliato i budget per la Difesa. L’alleanza mirerebbe a salvaguardare gli interessi nazionali francesi, minacciati dall’offensiva americana in Africa negli anni ’90 e dall’attuale penetrazione in Africa della Cina e dell’India che preoccupa non poco l’Unione Europea e gli Stati Uniti.

 

*Donatella Ciavarroni è laureanda in Storia delle Relazioni Internazionali (Università di Urbino)

 

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